Un omaggio a Gianni Gobbi da WWF

Due articoli scritti con il Cuore da Gianni Gobbi, naturalista e referee di WWF Italia ora Socio Onorario dell’Associazione Romana di Entomologia hanno destato l’interesse e il ringraziamento del Presidente Fulvio Pratesi (WWF ITALIA).
Ve li presentiamo qui, come personale omaggio al nostro Gianni.
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“A PLICORE CHI CI VA CI MORE”
di Gianni Gobbi
(Chi va a Policoro muore)
Cosi si esprimeva un contadino ai tempi della Riforma Fondiaria,rispondendo alla Commissione di Inchiesta,sulle condizioni rurali del mezzogiorno,e citato da Nicola Buccolo.
E a Policoro si moriva davvero,è ancora Buccolo a scrivere, soprattutto di malaria e delle piene dei fiumi.
Ma oggi a Policoro e dintorni ,si continua a morire per una causa prevalente,che si chiama cancro. Anche la morte si aggiorna.
Sono un biologo naturalista e da quasi mezzo secolo frequento il Bosco Pantano,per motivi di studio,e in questo tempo non breve ho conosciuto , anche solo di nome ,molte persone che sono poi mancate ,e la causa è quasi sempre la stessa.
E ho sempre sentito parlare di veleni agricoli,di petrolio che inquina le falde idriche,e di acqua potabile ai trialometani,e perfino di amianto nel fiume.Come dire che il cancro viene a cercarci,perfino in casa.
So che pochi credono a queste cose ,ma è comprensibile ,l’ottimismo è d’obbligo,specialmente laddove non ha senso e la presenza di cancerogeni ovunque,è un dato oggettivo,è appena il caso di ricordare il DDT,insetticida potente,poi rivelatosi un cancerogenao molto stabile nel tempo,portato dagli Americani nel dopoguerra e usato in modo massiccio, per combattere 4 specie di anofeli,zanzare vettrici del Plasmodio della malaria.
A dimostrazione del fatto che,se le attività umane,in genere,portano a problemi ambientali,l’aggressione alla natura,a Policoro,iniziata con la distruzione del grande Bosco,ha portato per direttissima alla distruzione dell’uomo.
Sul che possono riflettere tutti quelli “spiriti forti” che ancora credessero che occuparsi della salvaguardia di boschi e paludi,di parchi nazionali,camosci e uccellini ,sia roba da esteti,acchiappanuvole e anime candide.
(Antonio Cederna)
Così Policoro,che già fu famosa,prima di nascere,grazie al suo Bosco secolare,tornerà ad essere famosa,ma per un motivo assai meno attraente.
Intanto ciò che resta di una meraviglia naturale,che oggi ci sarebbe invidiata,ha continuato ad essere utilizzato come discarica del paese,in contrasto con l’istituzione della Riserva Regionale,risalente ormai a oltre trent’anni fa e senza la minima vergogna di fronte al vivere civile.
Intanto i nostri studi confermano ed esaltano quanto già segnalato da altri autori e da me stesso,cioè l’altissima biodiversità di questo territorio,un bene oggi tanto ricercato,quanto incompreso dal pubblico.
Per avere un’idea,basti considerare che questa caratteristica,misurata sul numero di specie di insetti è risultata circa pari a quella del Parco Nazionale del Pollino,che è 400 volte più esteso,tanto da costituire un insospettabile primato italiano.
Con questi numeri anche l’idea di Giuseppe Mele, cioè il considerare il bosco come un laboratorio naturale per la ricerca sugli insetti potenzialmente utili per la lotta biologica in agricoltura,è un’idea tutt’altro che velleitaria,e costituirebbe un’ulteriore ricchezza. A questo punto,però,non posso omettere una nota di biasimo nei confronti della Scienza Ufficiale,il mondo accademico, che ha sempre brillato per la sua magnifica assenza.
Ma il fatto è che il Bosco ,non è ben visto,quando non addirittura odiato,perché ricorda ai policoresi l’egemonia baronale,caratterizzata dal privilegio e dal sopruso.
“perché la caccia era solo per il barone”
Esclamò in un convegno il Sen. Decio Scardaccione.
“mentre adesso può andarci,a caccia, anche il contadino”,dimenticando che stava parlando di una Riserva Naturale protetta !
Perfino uno stimato Sindaco apostrofò un gruppo di cittadini che raccoglievano firme sotto una petizione,a favore,chiedendo loro cosa dovessero farci col Bosco,suggerendone l’uso … come WC (e chi vuol capire capisca)
La Riserva istituita corrisponde alla tipologia “orientata” ,ma pochi l’avranno notato. Che significa? È presto detto,che tutti gli interventi sull’ecosistema,devono essere orientati al recupero della condizione ecologica originaria.
E vediamo allora cosa è stato fatto:
in uno spazio disboscato,di fronte all’Idrovora sono stati piantati anni fa decine di alberi , accuratamente scelti tra quelli estranei alla vegetazione originaria,ma poi si sono “dimenticati” di irrigarli,cosicché sono tutti seccati (per fortuna).E lì a pochi metri scorre un piccolo fiume, il canale delle acque alte,che va a perdersi in mare. Al parcheggio di Piazza Siris è stato fatto (se possibile),ancora peggio : in piena estate sono state trapiantate decine di delicatissime pioppelle in una specie di fornace d’asfalto e poi anche qui niente acqua. Facile immaginare come è andata a finire,roba indegna dell’ultimo somaro iscritto ad un corso di Tecnica Forestale. È difficile credere che , con tanto pullulare di Forestali, non si sia trovato uno straccio di “esperto” che istruisse gli operai sul lavoro da fare. Se l’avessero chiesto a me,gliel’avrei detto io ,gratis.
La legge istitutiva della Riserva è stata dunque disattesa, ma c’è di peggio.
La nuova fama di Policoro, non tarderà a diffondersi,con buona pace di chi sembra aver previsto una forte immigrazione dall’interno,almeno a giudicare dalle numerose case nuove ancora invendute. Crollerà in mercato immobiliare?
A Plicore chi ci va ci more. E la storia continua.
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Da “Foresta Incantata” a “discarica di paese”.
di Gianni Gobbi
Questa può essere la fine di un monumento della natura,nella “civilissima” Italia,ed è la fine che sta facendo il Bosco di Policoro,o meglio quello che ne resta. Era un grandissimo Bosco, plurisecolare,intramezzato da aree palustri ricchissime di fauna,uno degli ultimi boschi planiziari,a carattere mezzo idrofilo sulle coste mediterranee. Chi vide questa meraviglia,nel 1956,ancora quasi intatta,parla di un bosco esteso sulla riva sinistra della Valle del Sinni,dalla foce a santa Maria d’Anglona,per ben 13 km,ma il suo destino era segnato. Furono i politici a volerlo,e gli enti di riforma ad attuarlo,anche per una rivalsa che cancellasse per sempre il privilegio nobiliare. L’ultimo proprietario,il Barone Giulio Belingieri,si poteva permettere di tenere il bosco,unicamente per soddisfare i propri piaceri,la caccia,soprattutto al cinghiale,per il tempo che soggiornava a Policoro,mentre il resto del tempo viveva a Milano,occupandosi di corse di cavalli,con una rendita circa 5 mila volte più alta di quella di un suo dipendente. In più,il bosco,come una cosa inutile,con la caccia riservata al signore e padrone,nonché ai suoi amici e illustri invitati,mentre milioni di contadini non avevano terra per il proprio sostentamento. Una condizione francamente insopportabile,ma il bosco,che oggi ci sarebbe invidiato da tutto il mondo,andava conservato almeno in parte,per diversi motivi,dei quali non si tenne conto. Così tra il 1956 e il 1959,il bosco fu eliminato per circa 9/10. Ne parlarono i principali giornali di tutta Italia,e la giovane TV Rai,trasmise perfino alcune immagini in bianco e nero del favoloso bosco. Ma gli italiani,impegnati nella ricostruzione del paese,poco dopo una guerra rovinosa,e ancora privi di una,sia pur minima,coscienza ambientale,fecero presto a dimenticarlo.
Nell’estate 1973,mentre ero in pieno svolgimento di ricerche naturalistiche sul massiccio del Pollino,che di li a poco,sarebbe diventato il più grande Parco Nazionale europeo,a qualcuno venne l’idea di andare a dare un’occhiata alla foce del Sinni,dove si diceva esistesse, malgrado tutto,ancora qualche resto del bosco.
È qui rimanemmo di stucco , “ma c’è ancora”, esclamammo quasi in coro,un fitto e buio bosco, ricco di piante annose e di rampicanti,sembrava volerci sballare la strada verso il fiume. A tratti si apriva in radune paludose,dalle quali partivano in volo gruppi di anatre,e quasi sembrava possibile vedere ancora fuggire i cinghiali. Qualche placido bovino pascolava con le zampe nell’acqua. Il sentiero ci guidava ora verso la foce,e infine raggiungemmo la spiaggia,dove nei giorni prossimi a ferragosto,non si vedeva anima viva a perdita d’occhio.
Che dire !! Niente male per un biotopo naturale “scomparso”,no?
Si avvertì subito la necessità di informare le associazioni ambientaliste della nostra “scoperta”,che si tramutò poi nell’idea vincente : rivolgerci direttamente al presidente del WWF,che anni prima aveva combattuto la battaglia pro bosco,rimanendo quindi emotivamente coinvolto dalla vicenda. Fulco Pratesi,mi rispose : “caro Gianni,(..),vieni a trovarmi al mio studio,così mettiamo in moto tutta la macchina”.
Fu così che si ricominciò a parlare di Policoro,dopo vent’anni di silenzio. Intanto le ricerche sugli insetti dimostravano sempre più chiaramente l’eccezionale biodiversità di quel territorio,tanto da potersi parlare di un insospettabile primato italiano.
Ma non è tutto oro quello che luccica,e così ci dovemmo presto accorgere per quale motivo vero il Bosco residuo era stato conservato :per decenni tutti avevano approfittato del Bosco per occultare ogni sorta di rifiuti ingombranti,speciali,velenosi in una parola “pericolosi”,sui quali nel frattempo è cresciuta la vegetazione. Diviene presto evidente,per una conservazione sensata ed efficiente,occorresse procedere alla bonifica del territorio e ad un restauro dell’ecosistema,altrimenti la Regione Basilicata si troverà a gestire una pattumiera,per di più abusiva ,anzi un deposito di ferraglia arrugginita,sia pure Orientato,come è ben specificato nel decreto istitutivo,che è stato già disatteso prima di cominciare,essendo state messe a dimora piante estranee alla vegetazione originaria. Tanto per far capire cosa intendono per ecologia forestale certi personaggi,che agiscono su questo palcoscenico. Inoltre potremo così dare al mondo ambientalista,un altro motivo per ridere di noi: una passeggiata nella frescura del bosco,sarà uguale allo slogan “tetano garantito”.Scherzi a parte,il bosco prima di tutto bonificato,e il paese fornito di una discarica vera,autorizzata e manutenuta. Un agglomerato urbano privo di tale infrastruttura non è degno dell’appellativo di città,tanto più se come discarica di fortuna si utilizza una RNO.
Per rispettare le disposizioni di legge occorre limitare il rimboschimento alle specie originariamente presenti. Esse sono frassino ossifillo,pioppo nero e bianco,salice bianco,olmo campestre,ontano nero,farnia (quasi scomparsa) e carpino,che sempre accompagna le querce,e poi ristabilire almeno in parte la disponibilità idrica del territorio. Il riallagamento del Bosco,come stabilito dal Progetto attualmente in discussione,non è affatto una priorità,se non per qualche esteta impaziente. Il problema del “Bosco Pantano”, è squisitamente ecologico e non estetico. Il progetto presentato dal WWF,alla Regione Basilicata,si chiama “Osservatorio Regionale per la Biodiversità”,in sigla ORB. Non è un buon auspicio per un Osservatorio.
Fa impressione,soprattutto la cifra stanziata,pari a dieci miliardi delle vecchie lire. Sembra francamente esagerata,ma potrei sbagliarmi. Speriamo bene !